La corsa allo scudetto 1986: una grande illusione

Roma, cos' hai fatto!

I giallorossi recuperano otto punti alla Juve, sembrano avviati alla conquista del terzo titolo. Poi, alla penultima giornata, c' é quella clamorosa sconfitta interna col Lecce già retrocesso. Via alle polemiche: qualcuno ha remato contro Eriksson?

La fantastica galoppata della Roma era nata dalla forza della disperazione. O meglio da un impeto d'orgoglio: le maglie giallorosse ancora odoravano di scudetto. All' ottava giornata la Roma fu battuta a San Siro dall' Inter -2-1, risultato non certo infame- e divamparono le polemiche. E fu scoperta la solita congiura di spogliatoio: c'è sempre, nella vita di una qualunque squadra di calcio, Bruto armato di pugnale. Che poi Bruto, a dir la verità, agì in nome della democrazia. IntervenneAncelotti: «Eriksson ci aveva raccomandato per tutta la settimana di giocare con la squadra corta, per non concedere spazi agli interisti, e noi in campo abbiamo fatto esattamente il contrario». Confermò Pruzzo: «L'allenatore ci aveva spiegato per filo e per segno come sarebbero andate le cose, e noi non lo siamo stati neppure a sentire». Allora, congiura? «E'una voce assurda, fuori dalla realtà, disse ancoraAncelotti. Qualcuno potrà non essere entusiasta di certe scelte: io stesso e anche Pruzzo siamo finiti in panchina, ma non abbiamo mai fatto polemiche. No, non c'è nessuno all'interno della squadra che fa la fronda a Eriksson. Il fatto è che la Roma, prima di perdere a San Siro, era stata battuta anche a Bari e Avellino; da questi risultati esterni nasceva il malumore. Intervenne Conti: «Fuori casa non esistiamo, quello che succede è incredibile, questa squadra vale molto di più della classifica che ha». E Conti non aveva alcun ragione, come vedremo, di nutrire particolare simpatia per Eriksson. Eppure, autorevoli personaggi ebbero il coraggio di fare una pubblica denuncia. Gianni Melidoni e Alfio Caruso, rispettivamente responsabili dei servizi sportivi del Messaggero e del Giornale, al Processo del Lunedì non solo confermarono l'esistenza del complotto, ma fecero anche i nomi: «Boniek, Conti, Bonetti, Righetti e Giannini, disse Melidoni, sono gli ammutinati». Da parte sua Caruso rivelò di aver saputo dell'esistenza del complotto attraverso la confidenza di un arbitro. Viola per uscire dagli equivoci invocò un'inchiesta federale, i giocatori minacciarono querele. Qualche mugugno sicuramente c'era: molti ritenevano i metodi di preparazione di Eriksson troppo pesanti, rispetto a quelli adottati da Liedholm. Però il chiasso fu benefico, perchè i giocatori reagirono con dignità esemplare a quel senso di mediocrità che si stava impossessando della squadra. Cominciò una rimonta strepitosa. Una marcia implacabile, interrotta solo a Verona, dove la Roma perse all'ultimo minuto dopo essere andata due volte in vantaggio. Subito dopo però, nel confronto diretto, la Roma travolse la Juventus: gol di Graziani, Pruzzo e Cerezo. Il bomber, cioè Pruzzo, tanta foga ci mise che si fece anche espellere: ma la Juve annichilita, non fu in grado di reagire. Ancora tre partite, e quella Juve stordita fu ripresa: gli otto punti di distacco non esistevano più. Nelle due giornate che ancora restavano da giocare, il calendario favorita nettamente la Roma: lo scudetto appariva scontato.

L'incredibile 2-3

Quel 20 aprile 1986 l'Olimpico era bello come nelle sue più sfolgoranti giornate. Bello di bandiere, di colori, di sentimenti. Sessantacinquemila romanisti si preparavano a celebrare il terzo scudetto giallorosso, il secondo della Roma leader degli anni'80. Era la grande rivincita di Dino Viola; era la felice conclusione della marcia di Sven Eriksson verso la nuova frontiera. Zibì Boniek, intanto, come si era comportato? Bene, nel senso che aveva saltato una sola partita, che si era integrato senza difficoltà, nella squadra e nell'ambiente, che aveva offerto un rendimento notevole. Ma non era un eroe popolare: Zibì sapeva esprimersi con straordinari impeti agonistici, talvolta: ma il suo era, chissà perchè, un fascino freddo. La Roma andò subito in vantaggio con Ciccio Graziani. Era fatta, si poteva anche dare inizio alla festa. Nacque da questa sensazione di cose compiute, da questa euforia improvvisa e velenosa, il rovinoso crollo? Poco più di mezz'ora dopo, il Lecce era in vantaggio per 3-1. I romanisti sembravano non crederci, e ancor meno ci credevano i leccesi, che nelle quattordici trasferte precedenti avevano collezionato tredici sconfitte e un pareggio: e che erano già, e da un pezzo, in serie B. In quelle atmosfere stravolte, la Roma ebbe un sussulto: Pruzzo segnò all' 82'e gli otto minuti che restarono furono i più lunghi di tutta la storia romanista: perchè si portarono via una rivincita preparata per tre anni. La Roma perse anche a Como, nell'ultima giornata, e così la Juventus si riprese, in due sole battute, quattro di quegli otto punti di vantaggio che la Roma aveva annullato in tre mesi di straordinari successi e di furenti orgogli. Abbiamo accennato alle polemiche striscianti sui metodi di preparazione di Eriksson, ritenuti sfibranti. Il crollo della Roma nelle ultime due giornate del campionato '86 fu da molti attribuito proprio a questi disagi fisici della squadra: quasi sicuramente si trattò invece di un blocco psicologico di fronte alla insospettata vigoria di un Lecce già retrocesso. Comunque, la responsabilità di quello scudetto mancato veniva attribuita, dalla voce del popolo, all'allenatore.

La consolazione

Che la Roma non fosse fisicamente estenuata fu provato del resto dalla vittoria nella Coppa Italia, diventata ormai una specie di momento consolatore, nella storia giallorossa. La Roma la conquistò battendo in finale la Sampdoria. La Coppa Italia non modificò comunque la sostanza delle cose e Sven Eriksson avrebbe dovuto compiere miracoli per recuperare fiducia e tempo necessari all'impegno assunto, quello di costruire la Roma della nuova frontiera. I miracoli non ci furono, Gli ingaggi più importanti della Roma, per la stagione '86/87, furono quelli del danese Klaus Berggreen -un tipo cerebrale impegnato, in Danimarca, nel mondo degli affari, che spendeva milioni di bolletta telefonica e che si era molto distinto nel Pisa- e quello dello spigoloso difensore Marco Baroni. Alla penultima giornata del torneo, quando la Roma viene travolta all'Olimpico dalla Sampdoria, gol di Vierchowod e doppietta di Vialli, il destino di Eriksson è segnato.

Tratto da La mia Roma del Corriere dello Sport

 

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